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Il significato di sognare un cappello #3

Sognare un cappello che vola via dalla testa, sognare il vento che porta via il cappello, sta a significare l’autorità del sognatore che è in pericolo, dovuto a circostanze esterne sfavorevoli, minando anche la credibilità. In alcuni sogni può alludere alle idee che si diffondono sia in senso positivo, cultura, nuove scoperte, che in senso negativo, ad esempio pettegolezzi e calunnie. Per l’interpretazione popolare antica era l’immagine di un affare svanito.

Sognare, invece, di perdere il cappello significa perdere la propria sicurezza in mezzo agli altri; è quindi un’immagine legata a meccanismi protettivi che forse non funzionano più a dovere e che devono adattarsi alla crescita e al “cambiamento del sognatore”.

Sognare di buttare a terra il cappello rispecchia un’attitudine critica del sognatore verso sè stesso e il mancato apprezzamento del proprio ruolo. Sognare invece di togliere il cappello a qualcun altro e buttarlo a terra è un’immagine aggressiva che riflette altrettanta aggressività, rivalità, risentimento, invidia nei confronti di quella persona, che può nascere anche come desiderio di sanare un’ingiustizia ricevuta.

(Continua…)

Fonte: guidasogni.it

 

Omaggio a Oriana Fallaci

Dal video “Un Cappello pieno di ciliegie” Oriana Fallaci

Oriana Fallaci nasce a Firenze il 26 giugno dell’anno 1929, è la giornalista italiana più conosciuta ed apprezzata al mondo. La sua vita fu straordinaria. Inventò un modo tutto suo di scrivere e intervistare e fu una delle prime donne a farsi strada in un mondo che fino ad allora alle donne sembrava precluso. Ebbe posizioni radicali su molti aspetti e poco politically correct; per questo divenne, a volte, oggetto di attacchi pesanti e contestazioni, da cui Oriana seppe difendersi sempre con energia. Diventò un vero personaggio, al di là delle storie che raccontava e che aveva raccontato.

E’ stata fotografata ed intervistata dai più importanti giornali internazionali. Ha sempre tenuto a precisare che era fiorentina, che parlava e pensava fiorentino, sottolineando che era la sua educazione e al sua cultura. Quando, all’estero, le veniva chiesto a quale paese appartenesse rispondeva sempre “Firenze”.

Il 1967 e il 1968 furono gli anni più importanti per la sua carriera. Chiese ed ottenne di essere inviata in Vietnam e fu l’unica giornalista italiana presente al fronte. Tornò più volte, fino alla fine del conflitto nel 1975, raccontando la vita quotidiana a Saigon, i bombardamenti, gli interrogatori dei prigionieri, le rappresaglie, realizzando molte interviste esclusive e reportage comprati e tradotti da importanti giornali internazionali. La sua posizione fu critica sia nei confronti dei soldati americani e sud vietnamiti, sia nei confronti dei vietcong. Dalla guerra in Vietnam nacque il libro “Niente e così sia” (1969).

Nel 1968 era a Città del Messico alla vigilia dell Olimpiadi e restò ferita gravemente da un colpo di pistola nella repressione di una manifestazione studentesca di protesta (la credettero morta, poi dall’obitorio la trasferirono in ospedale). Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 Oriana Fallaci si affermò come grande giornalista politica, raccontò la rivolta di Detroit dopo l’uccisione di Martin Luther King. Il conflitto arabo-palestinese, le guerriglie contro le dittature del Sud-America, la morte di Bob Kennedy, i conflitti in Asia.

Riuscì ad intervistare molti personaggi politici che nessuno era mai riuscito ad avvicinare. Interviste che furono pubblicate sull’Europeo e sul Corriere della Sera, con cui collaborava. La tecnica con cui Oriana Fallaci conduceva le interviste era, per quell’epoca, molto innovativa e la rese molto apprezzata in tutto il mondo. Negli anni ’70 pubblicò altri due libri: “Lettera ad un bambino mai nato” (1975), proprio mentre in Italia si discuteva la legge sull’aborto, e “Un uomo” (1979).

Il libro successivo di Oriana Fallaci arrivò 11 anni dopo: “Isciallah” (1990). Tornò ad occuparsi di guerre, soprattutto quella civile del Libano, a partire dagli attentati di Beirut – ma anche di fondamentalismo islamico e delle storie dei soldati che occupavano il contingente militare italiano. Intervistò Khomeini, il leader religioso che aveva instaurato in Iran la Repubblica Islamica: proprio durante quell’intervista polemicamente Oriana si tolse il velo che le ricopriva la testa.

Nel 1992 Oriana Fallaci scoprì di avere il cancro e ne parlo in una intervista televisiva.

“Io non capisco questo pudore, questa avversione per la parola cancro. Non è neanche una malattia infettiva, non è neanche una malattia contagiosa. Bisogna fare come si fa qui in America, bisogna dirla questa parola. Serenamente, apertamente, disinvoltamente. Io ho il cancro. Dirlo come si direbbe io ho l’epatite, io ho la polmonite, io ho una gamba rotta. Io ho fatto così, io faccio così e far così mi sembra di esorcizzarla.”

Oriana Fallaci

Vorrei solo dire che oriana Fallaci si dedicò molto ai diritti della donna e per questo è stata amata in tutto il mondo e anche nella società islamica. La sua biografia è conosciuta e così le sue opere. Ricordiamo ancora “La Rabbia e l’Orgoglio”, “La Forza della Ragione”, “Oriana Fallaci intervista sè stessa – L’Apocalisse”. Si schierò contro l’eutanasia e contro il referendum per estendere la ricerca sulle cellule staminali.

Conclusa questa fase in cui si occupò molto di attualità, riprese la scrittura del romanzo famigliare, ma solo per un anno. Nell’estate del 2006, gravemente malata, volle tornare a Firenze, dove morì il 15 settembre. E’ sepolta vicino i suoi genitori e sulla sua lapide c’è scritte, per sua volontà: “Oriana Fallaci – Scrittore”. L’ultima sua intervista la dette al Newyorker il 30 maggio 2006, in un lungo articolo intitolato “The Agitator”. L’ultima sua opera quindi fu pubblicata postuma e porta il titolo “Un Cappello pieno di ciliegie”.

Grazie di cuore a Oriana Fallaci, grazie di cuore.

Fonte: biografieonline.it

Omaggio a Hind Lafram

Perchè il verde? #3

La Natura è tanto verde

Il verde è ovunque, è il colore più comune nel mondo naturale ed è secondo solo al blu, tra i colori più apprezzati.

Gli effetti fisici
In presenza del verde, la ghiandola pituitaria è stimolata, i muscoli sono più rilassati, inoltre porta ad una diminuzione di vari sintomi, i vasi sanguigni si dilatano aiutando nelle contrazioni muscolari lisce. Come già detto il verde è calmante, antistress, tonificante. E’ stato dimostrato che migliora la capacità di lettura e della creatività

Il chakra del cuore colma il divario tra il mondo fisico e spirituale. La sua apertura permette ad una persona di amare di più, di entrare in sintonia, empatia e sensibilizzare al compassione. Tra le pietre ricordiamo, affini al chakra del cuore, la giada e la malachite.

Disintossica e decongestiona l’organismo, a tavola è indicato per coloro che tendono a mangiare in maniera vorace, aiutando a mantenere un ritmo più lento. Nella cromoterapia il verde è indicato energeticamente per chi soffre di mal di testa, nevralgie, insonnia e nervosismo. E’ indicato per le persone fortemente sotto pressione, favorendo quindi la creazione di un proprio spazio interiore, aiutando a fare chiarezza. Soprattutto è proprio il verde ciò che ci aiuta a riportare calma negli stati ansiosi, stabilità ed equilibrio, dando un forte beneficio a livello sia fisico che mentale.

E’ bene quindi mangiare a livello casalingo cibi verdi, evitando però tutte quelle sostanze che possono avere un’influenza nervina e stimolante. E’ un colore molto indicato negli arredi, nelle zone giorno e dove si condivide la convivialità, ma anche negli spazi notte.

Ricordiamo che indica l’affermazione energetica della propria individualità. Ci aiuta a sviluppare la buona realizzazione personale, donandoci tenacia e lucidità mentale.

Uomo Maestro di Vita

Henri de Toulouse-Lautrec, la ricerca del vero

Henri de Toulouse-Lautrec nasceva ad Albi il 24 novembre 1864 e morì a soli 37 anni il 9 settembre del 1901. Fu un innovatore artistico unico, dalla personalità originale, precursore dei tempi per quell’epoca. Allontanandosi dalla delicatezza di Monet, dalle tinte pastello e dal delicato tocco dell’en plein air, la pittura di Toulouse-Lautrec si avvicinò a quella di Degas. Esponente del post-impressionismo, seppur difficile da classificare per gli artisti del suo livello.

Ball dans Moulin Rouge

Anticipò la corrente dei Fauves utilizzando tavolozze di colore molto semplici, dominate dai colori primari, utilizzando righe nere e forti per i contorni. Una certa maturazione stilistica fu imposta dalla sua tecnica pittorica, che lo rese famoso: i manifesti pubblicitari, litografie, che certo non erano stampati come quelli di oggi, ma le prime stampe chimiche realizzate sulla pietra.

I colori primari, per Lautrec, diventano più caratterizzati che realistici, impossibile visto il metodo, rende i manifesti comunicanti attraverso le loro tinte oltre che la loro immagine. Come per il leitmotiv, per l’opera, tinte e macchie di colore diventano un metodo per esprimere emozioni e storie. Fu capace quindi di rappresentare la realtà, ben capibile anche con pochi tocchi di colore e figure, alle volte caricaturali.

Henri de Toulouse-Lautrec non iniziò la sua carriera artistica come pubblicitario, ma i suoi manifesti divennero ricercati solamente nella seconda metà della sua breve e intensa vita. Formatosi all’Accademia di Belle Arti, cominciò infatti anche lui con oli su tela e in un primo momento firmandosi con uno pseudonimo; in quanto il padre non voleva che i suoi quadri “rovinassero” il loro cognome data l’origine aristocratica della famiglia. Quando si spostò a Parigi con la madre, intorno al 1870, venne influenzato in qualche modo dagli impressionisti che in quel momento erano sulla cresta dell’onda. Si avvicinò poi alle opere di Degas e Van Gogh, del quale fece un ritratto, che vantavano un uso del colore particolare e molto più incisivo.

Bal du Moulin de la Galette

Espose le sue opere (tra cui Bal du Moulin de la Galette), unendosi al gruppo Les XX, a Bruxelles, con i quadri che solitamente troviamo sui libri di storia. Il suo vero successo fu a Montmartre. Cominciò a produrre le sue litografie per pubblicizzare gli spettacoli del Moulin Rouge assieme alle scenografie degli spettacoli. Ma a lui interessava l’aspetto umano dei personaggi, dei quali attraverso le sue opere, traspariva l’emotività, insieme alla realtà dei loro sentimenti. Soprattutto delle magnifiche ballerine, mettendo in risalto la loro femminilità, senza pregiudizio e senza mai giudicarle, senza mai ritrarle come donne di poco conto. Per lui valeva di più la gente, “la persona”, il realismo piuttosto che un bel paesaggio di una veduta, oppure come tanti suoi illustri colleghi che invece ritraevano i mulini della zona.

La Toilette

Dipinse già da quando iniziò a frequentare l’Accademia, dipinse sempre la gente e il loro mestiere. La sua tanto discussa vita privata, cosiddetta sregolata, era anche dettata dalla sua assoluta ricerca del vero e dell’elemento reale. Lui che arrivava dall’aristocrazia, conte, non aveva vergogna e remore dal ritrarre anche le donne dai lavori più umili. Un uomo che sicuramente arrivava anche da una grande sofferenza dovuta ad una sua malattia genetica ed in seguito ad un incidente subito ad entrambe le gambe, purtroppo, che rimasero cortissime. Dotato di grande generosità, di nobiltà d’animo e insieme ai suoi talenti fecero di quest’uomo un vero artista.

“Sempre e dovunque anche il brutto ha i suoi aspetti affascinanti, è eccitante scoprirli là dove nessuno prima li ha notati.”

Henri de Toulouse-Lautrec

Fonte: ArtSpecialDay

Sole, moda e…cappelli!

Omaggio all’indimenticabile signora della musica italiana Mia Martini

Omaggio a Henri de Toulouse-Lautrec

Omaggio dal video: La Donna più Bella del Mondo

Dal nostro video (clicca qui):

“La massima testimonianza di Venera in Terra”, questa fu la dedica di Gabriele D’Annunzio su una copia de “Il Piacere”, che donò a Lina Cavalieri, il soprano e l’attrice che entro nel Mito, definita agli inizi del ‘900 “La Donna più Bella del Mondo”.

Colei che ogni giorno riceveva dai suoi ammiratori milletrecento fiori tra rose ed orchidee. Nel cuore di Natalina Cavalieri sembrava però che ci fosse spazio solo per l’arte, l’arte del canto, che difatti le aveva cambiato la vita.

Il 4 marzo 1900 debutta con “La Bohème” di Giacomo Puccini al teatro San Carlo di Napoli. E’ il trampolino per la grande lirica negli Stati Uniti, dove la fama della sua bellezza l’anticipa. Siamo nel 1906, il pubblico americano riempie i teatri più per vederla che per ascoltarla.

La sua straordinaria bellezza, l’eleganza del portamento, la sua sensualità e le acconciature sontuose la conducono ad incarnare il ruolo di assoluta Diva. Sottoscrive importanti contratti con la Metropolitan Opera Company e con la Manhattan Opera Company, ed è interpreta insieme al nostro mitico Enrico Caruso e Francesco Tamagno.

A New York, al Metropolitan Opera, assieme ad Enrico Caruso interpreta la Fedora e dopo il bacio appassionato di scena, tra i due cantanti nasce il “Mito”. La stampa la definisce “The Kissing Primadonna” (La Primadonna che bacia).

(Fonte: Roberto Di Ferdinando)

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