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Occorrente:
-catino o secchio d’acqua tiepida,
-olio per bambini,
-sapone di marsiglia a scaglie,
-panno morbido,
-carta di giornale o asciugamano,
-naftalina o canfora.
I cappelli di paglia, specialmente se le fibre sono molto delicate, necessitano di controllare l’etichetta con le relative istruzioni di lavaggio altrimenti si può procedere come segue. Se sono presenti ornamenti come bottoni, nastri o strass è bene toglierli momentaneamente per evitare di danneggiarli durante il lavaggio. Dopo aver fatto sciogliere le scaglie di sapone nell’acqua tiepida, imbevete un canovaccio nella soluzione saponata. Strizzare il canovaccio eliminando l’acqua in eccesso e strofinatelo sul cappello delicatamente, pulendo prima la parte interna e poi quella esterna. E’ meglio evitare di immergere il cappello nell’acqua saponata perchè le fibre potrebbero restringersi. Infine risciacquare il cappello con sola acqua, così da eliminare i residui di sporco e sapone. Quindi farlo asciugare all’aperto e all’ombra su un qualsiasi oggetto di forma rotonda. Ricordiamo che è bene pulire prima delicatamente il cappello con un pennello morbido e se eventualmente non si vogliono staccare gli ornamenti, spolverare anche questi con il pennello e poi molto delicatamente procedere con il panno umido.
L’alternativa valida al classico sapone di marsiglia è l’olio per bambini, quello utilizzato per la loro igiene e cura. Inumidire un panno con qualche goccia di olio e procedere molto delicatamente alla pulizia tenendolo all’interno con l’altra mano ed evitando di deformarlo, sempre procedendo dall’interno verso l’esterno così che il panno utilizzato con l’olio non venga a contatto con la parte interna. Non adoperare mai alcun detergente aggressivo o altro tipo di olio perchè potrebbe rovinarsi o sporcarlo ulteriormente. Se dopo questo trattamento si vuole invece riporlo per conservarlo sino al prossimo utilizzo, si possono utilizzare le “cappelliere” e comunque lontano dai raggi diretti del sole facendo attenzione a non piegarlo, all’interno di un armadio preferibilmente anche coprendolo con qualcosa di leggero per proteggerlo soprattutto perchè non perda la sua forma originale e non si impolveri.
Eventualmente può essere utilizzato uno spray che si può trovare presso gli ipermercati o i negozi specializzati, nonché le drogherie. Lo spray aiuta a conservare la forma del cappello di paglia, come ripeto non sempre è necessario. Oppure si può adoperare qualsiasi liquido opacizzante per mantenere le fibre unite e resistenti, ma non è indispensabile.
Fonte: pianetadonna.it
Lavorare la paglia
La lavorazione della paglia risale teoricamente agli inizi del XVIII secolo. Esistono opere famose quali le paglie di Firenze che sono state realizzate con l’intrecciatura fatta a mano. La lavorazione finale, necessaria per definire la forma, veniva creata invece con l’aiuto meccanico di presse e macchine. Prima della fase, però, che interessa la creazione del cappello vero e proprio, sono necessari numerosi passaggi per poter ottenere dei filamenti schiacciati delle stesse dimensioni e tonalità. Il giorno prima della lavorazione è necessario tenerla a bagno e poi schiacciare le fibre per renderle più morbide e maneggevoli. Successivamente, come si faceva un tempo, pressarle manualmente oppure lasciarle riposare per alcune ore sotto un oggetto pesante per infine fare evaporare l’acqua. Una volta pronta la paglia si procederà a sezioni, creando prima il cilindro del cappello e in seguito la falda, tutto secondo la sapiente tecnica dell’intrecciatura. Per il cilindro realizzare una treccia centrale lineare o di forma circolare, a seconda della forma che si darà al cappello. Di seguito si procede intrecciando i lunghi filamenti a mo’ di spirale. Le trecce dovranno quindi essere poste l’una sopra l’altra, unendole con ago e spago, procedendo fino a quando non si sarà soddisfatti del risultato. Si passa poi alla falda, anche questa avrà una grandezza a piacere. Il procedimento è uguale ma, a differenza della prima sezione, le file intrecciate verranno cucite una accanto all’altra. Finalmente arrivati a questo punto si possono unire le due sezioni utilizzando sempre l’ago e lo spago.
L’attaccatura
Attaccata la falda al cilindro, si passa a coprire la cucitura, che sarà un elemento decorativo. Può essere un nastro colorato incollato con della colla a caldo oppure, in caso di cappelli femminili, un fiocco o con degli ornamenti, fiori o pietre colorate.
Ed ecco fatto il cappello di paglia intrecciata!
Ps. fate delle trecce sempre abbastanza strette, così da non lasciare spazi.
Fonte: pianetadonna.it
Originaria di Velletri (Roma) ed emigrata a Parigi da bambina, Juana Romani è stata omaggiata nella sua città natale con una mostra allestita presso il Convento del Carmine, diventato i mesi scorsi una sede distaccata dell’Accademia di Belle Arti di Roma. La mostra è stata aperta fino al 28 gennaio 2018. Venne sempre nominata con l’appellativo “La Petite Italienne” Da modella e pittrice, figura quasi pionieristica sul fronte della parità di genere. Questa mostra ha celebrato la sua vicenda umana e artistica a 150 anni dalla sua nascita.
Avvicinatasi al mondo dell’arte svolgendo il mestiere di modella nella Accademia privata Colarossi e Julian e in diversi atelier, Juana Romani dimostrò un precocissimo talento a livello pittorico successivamente confermato dalla vittoria della medaglia d’argento all’Esposizione Universale del 1889, ad appena 22 anni, con Bartolomeo Bezzi e Luigi Nono.
Il percorso espositivo ha ricostruito per intero il profilo dell’artista, riunendo opere chiave della sua produzione. Concessa da una raccolta francese l’enigmatica opera “Figlia di Teodora” e materiale iconografico e documentario inedito comprensivo anche di disegni, incisioni e periodici d’epoca.
Nel contesto francese dei Salons, Juana Romani godette di ampia fortuna anche grazie agli autoritratti “di femminismo esagerato”, secondo la definizione coniata da Armand Silvestre, nei quali impiegò le proprie sembianze per rileggere personaggi femminili esistenti o legati alla tradizione letteraria.
La mostra ha costituito un’occasione per cogliere aspetti salienti della personalità di Juana Romani, con idee in grado di avvicinare l’artista a questioni al centro del dibattito ancora oggi. Infatti si rifiutò di aderire ad associazioni di “femmes peintres”, fu tra le prime a rivendicare la parità di genere con opere quali “Mina da Fiesole”, ritratto in cui compare come una donna nei panni del celebre scultore rinascimentale, ammiratissimo da lei, Mino da Fiesole, riuscendo così ad anticipare le moderne posizioni sull’abbattimento delle distinzioni di trattamento sociale su base sessuale.
Fonte: arte.sky.it
“Essere mamma non è un mestiere, non è nemmeno un dovere: è solo un diritto tra tanti diritti”
Oriana Fallaci
Sognare un cappello che vola via dalla testa, sognare il vento che porta via il cappello, sta a significare l’autorità del sognatore che è in pericolo, dovuto a circostanze esterne sfavorevoli, minando anche la credibilità. In alcuni sogni può alludere alle idee che si diffondono sia in senso positivo, cultura, nuove scoperte, che in senso negativo, ad esempio pettegolezzi e calunnie. Per l’interpretazione popolare antica era l’immagine di un affare svanito.
Sognare, invece, di perdere il cappello significa perdere la propria sicurezza in mezzo agli altri; è quindi un’immagine legata a meccanismi protettivi che forse non funzionano più a dovere e che devono adattarsi alla crescita e al “cambiamento del sognatore”.
Sognare di buttare a terra il cappello rispecchia un’attitudine critica del sognatore verso sè stesso e il mancato apprezzamento del proprio ruolo. Sognare invece di togliere il cappello a qualcun altro e buttarlo a terra è un’immagine aggressiva che riflette altrettanta aggressività, rivalità, risentimento, invidia nei confronti di quella persona, che può nascere anche come desiderio di sanare un’ingiustizia ricevuta.
(Continua…)
Fonte: guidasogni.it
Dal video “Un Cappello pieno di ciliegie” Oriana Fallaci
Oriana Fallaci nasce a Firenze il 26 giugno dell’anno 1929, è la giornalista italiana più conosciuta ed apprezzata al mondo. La sua vita fu straordinaria. Inventò un modo tutto suo di scrivere e intervistare e fu una delle prime donne a farsi strada in un mondo che fino ad allora alle donne sembrava precluso. Ebbe posizioni radicali su molti aspetti e poco politically correct; per questo divenne, a volte, oggetto di attacchi pesanti e contestazioni, da cui Oriana seppe difendersi sempre con energia. Diventò un vero personaggio, al di là delle storie che raccontava e che aveva raccontato.
E’ stata fotografata ed intervistata dai più importanti giornali internazionali. Ha sempre tenuto a precisare che era fiorentina, che parlava e pensava fiorentino, sottolineando che era la sua educazione e al sua cultura. Quando, all’estero, le veniva chiesto a quale paese appartenesse rispondeva sempre “Firenze”.
Il 1967 e il 1968 furono gli anni più importanti per la sua carriera. Chiese ed ottenne di essere inviata in Vietnam e fu l’unica giornalista italiana presente al fronte. Tornò più volte, fino alla fine del conflitto nel 1975, raccontando la vita quotidiana a Saigon, i bombardamenti, gli interrogatori dei prigionieri, le rappresaglie, realizzando molte interviste esclusive e reportage comprati e tradotti da importanti giornali internazionali. La sua posizione fu critica sia nei confronti dei soldati americani e sud vietnamiti, sia nei confronti dei vietcong. Dalla guerra in Vietnam nacque il libro “Niente e così sia” (1969).
Nel 1968 era a Città del Messico alla vigilia dell Olimpiadi e restò ferita gravemente da un colpo di pistola nella repressione di una manifestazione studentesca di protesta (la credettero morta, poi dall’obitorio la trasferirono in ospedale). Tra gli anni ’60 e gli anni ’70 Oriana Fallaci si affermò come grande giornalista politica, raccontò la rivolta di Detroit dopo l’uccisione di Martin Luther King. Il conflitto arabo-palestinese, le guerriglie contro le dittature del Sud-America, la morte di Bob Kennedy, i conflitti in Asia.
Riuscì ad intervistare molti personaggi politici che nessuno era mai riuscito ad avvicinare. Interviste che furono pubblicate sull’Europeo e sul Corriere della Sera, con cui collaborava. La tecnica con cui Oriana Fallaci conduceva le interviste era, per quell’epoca, molto innovativa e la rese molto apprezzata in tutto il mondo. Negli anni ’70 pubblicò altri due libri: “Lettera ad un bambino mai nato” (1975), proprio mentre in Italia si discuteva la legge sull’aborto, e “Un uomo” (1979).
Il libro successivo di Oriana Fallaci arrivò 11 anni dopo: “Isciallah” (1990). Tornò ad occuparsi di guerre, soprattutto quella civile del Libano, a partire dagli attentati di Beirut – ma anche di fondamentalismo islamico e delle storie dei soldati che occupavano il contingente militare italiano. Intervistò Khomeini, il leader religioso che aveva instaurato in Iran la Repubblica Islamica: proprio durante quell’intervista polemicamente Oriana si tolse il velo che le ricopriva la testa.
Nel 1992 Oriana Fallaci scoprì di avere il cancro e ne parlo in una intervista televisiva.
“Io non capisco questo pudore, questa avversione per la parola cancro. Non è neanche una malattia infettiva, non è neanche una malattia contagiosa. Bisogna fare come si fa qui in America, bisogna dirla questa parola. Serenamente, apertamente, disinvoltamente. Io ho il cancro. Dirlo come si direbbe io ho l’epatite, io ho la polmonite, io ho una gamba rotta. Io ho fatto così, io faccio così e far così mi sembra di esorcizzarla.”
Oriana Fallaci
Vorrei solo dire che oriana Fallaci si dedicò molto ai diritti della donna e per questo è stata amata in tutto il mondo e anche nella società islamica. La sua biografia è conosciuta e così le sue opere. Ricordiamo ancora “La Rabbia e l’Orgoglio”, “La Forza della Ragione”, “Oriana Fallaci intervista sè stessa – L’Apocalisse”. Si schierò contro l’eutanasia e contro il referendum per estendere la ricerca sulle cellule staminali.
Conclusa questa fase in cui si occupò molto di attualità, riprese la scrittura del romanzo famigliare, ma solo per un anno. Nell’estate del 2006, gravemente malata, volle tornare a Firenze, dove morì il 15 settembre. E’ sepolta vicino i suoi genitori e sulla sua lapide c’è scritte, per sua volontà: “Oriana Fallaci – Scrittore”. L’ultima sua intervista la dette al Newyorker il 30 maggio 2006, in un lungo articolo intitolato “The Agitator”. L’ultima sua opera quindi fu pubblicata postuma e porta il titolo “Un Cappello pieno di ciliegie”.
Grazie di cuore a Oriana Fallaci, grazie di cuore.
Fonte: biografieonline.it