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Henri de Toulouse-Lautrec nasceva ad Albi il 24 novembre 1864 e morì a soli 37 anni il 9 settembre del 1901. Fu un innovatore artistico unico, dalla personalità originale, precursore dei tempi per quell’epoca. Allontanandosi dalla delicatezza di Monet, dalle tinte pastello e dal delicato tocco dell’en plein air, la pittura di Toulouse-Lautrec si avvicinò a quella di Degas. Esponente del post-impressionismo, seppur difficile da classificare per gli artisti del suo livello.
Anticipò la corrente dei Fauves utilizzando tavolozze di colore molto semplici, dominate dai colori primari, utilizzando righe nere e forti per i contorni. Una certa maturazione stilistica fu imposta dalla sua tecnica pittorica, che lo rese famoso: i manifesti pubblicitari, litografie, che certo non erano stampati come quelli di oggi, ma le prime stampe chimiche realizzate sulla pietra.
I colori primari, per Lautrec, diventano più caratterizzati che realistici, impossibile visto il metodo, rende i manifesti comunicanti attraverso le loro tinte oltre che la loro immagine. Come per il leitmotiv, per l’opera, tinte e macchie di colore diventano un metodo per esprimere emozioni e storie. Fu capace quindi di rappresentare la realtà, ben capibile anche con pochi tocchi di colore e figure, alle volte caricaturali.
Henri de Toulouse-Lautrec non iniziò la sua carriera artistica come pubblicitario, ma i suoi manifesti divennero ricercati solamente nella seconda metà della sua breve e intensa vita. Formatosi all’Accademia di Belle Arti, cominciò infatti anche lui con oli su tela e in un primo momento firmandosi con uno pseudonimo; in quanto il padre non voleva che i suoi quadri “rovinassero” il loro cognome data l’origine aristocratica della famiglia. Quando si spostò a Parigi con la madre, intorno al 1870, venne influenzato in qualche modo dagli impressionisti che in quel momento erano sulla cresta dell’onda. Si avvicinò poi alle opere di Degas e Van Gogh, del quale fece un ritratto, che vantavano un uso del colore particolare e molto più incisivo.
Espose le sue opere (tra cui Bal du Moulin de la Galette), unendosi al gruppo Les XX, a Bruxelles, con i quadri che solitamente troviamo sui libri di storia. Il suo vero successo fu a Montmartre. Cominciò a produrre le sue litografie per pubblicizzare gli spettacoli del Moulin Rouge assieme alle scenografie degli spettacoli. Ma a lui interessava l’aspetto umano dei personaggi, dei quali attraverso le sue opere, traspariva l’emotività, insieme alla realtà dei loro sentimenti. Soprattutto delle magnifiche ballerine, mettendo in risalto la loro femminilità, senza pregiudizio e senza mai giudicarle, senza mai ritrarle come donne di poco conto. Per lui valeva di più la gente, “la persona”, il realismo piuttosto che un bel paesaggio di una veduta, oppure come tanti suoi illustri colleghi che invece ritraevano i mulini della zona.
Dipinse già da quando iniziò a frequentare l’Accademia, dipinse sempre la gente e il loro mestiere. La sua tanto discussa vita privata, cosiddetta sregolata, era anche dettata dalla sua assoluta ricerca del vero e dell’elemento reale. Lui che arrivava dall’aristocrazia, conte, non aveva vergogna e remore dal ritrarre anche le donne dai lavori più umili. Un uomo che sicuramente arrivava anche da una grande sofferenza dovuta ad una sua malattia genetica ed in seguito ad un incidente subito ad entrambe le gambe, purtroppo, che rimasero cortissime. Dotato di grande generosità, di nobiltà d’animo e insieme ai suoi talenti fecero di quest’uomo un vero artista.
“Sempre e dovunque anche il brutto ha i suoi aspetti affascinanti, è eccitante scoprirli là dove nessuno prima li ha notati.”
Henri de Toulouse-Lautrec
Fonte: ArtSpecialDay
Dal nostro video (clicca qui):
“La massima testimonianza di Venera in Terra”, questa fu la dedica di Gabriele D’Annunzio su una copia de “Il Piacere”, che donò a Lina Cavalieri, il soprano e l’attrice che entro nel Mito, definita agli inizi del ‘900 “La Donna più Bella del Mondo”.
Colei che ogni giorno riceveva dai suoi ammiratori milletrecento fiori tra rose ed orchidee. Nel cuore di Natalina Cavalieri sembrava però che ci fosse spazio solo per l’arte, l’arte del canto, che difatti le aveva cambiato la vita.
Il 4 marzo 1900 debutta con “La Bohème” di Giacomo Puccini al teatro San Carlo di Napoli. E’ il trampolino per la grande lirica negli Stati Uniti, dove la fama della sua bellezza l’anticipa. Siamo nel 1906, il pubblico americano riempie i teatri più per vederla che per ascoltarla.
La sua straordinaria bellezza, l’eleganza del portamento, la sua sensualità e le acconciature sontuose la conducono ad incarnare il ruolo di assoluta Diva. Sottoscrive importanti contratti con la Metropolitan Opera Company e con la Manhattan Opera Company, ed è interpreta insieme al nostro mitico Enrico Caruso e Francesco Tamagno.
A New York, al Metropolitan Opera, assieme ad Enrico Caruso interpreta la Fedora e dopo il bacio appassionato di scena, tra i due cantanti nasce il “Mito”. La stampa la definisce “The Kissing Primadonna” (La Primadonna che bacia).
(Fonte: Roberto Di Ferdinando)
Di abbigliamento infantile si comincia a parlare solo dal XX secolo. Nei primi due o tre anni di vita, i bambini indossavano un vestitino di linea sciolta uguale per entrambi i sessi. In seguito alle nuove teorie di puericultura che ritroviamo nelle cronache di fine ‘700, grazie al filosofo francese Rousseau si ritenne che il gioco e la libertà di movimento erano indispensabili per un corretto sviluppo del bambino, quindi si andò a concepire una tipologia di abbigliamento per i più piccoli più specifica, seppur riprendendo i motivi decorativi della moda di quel periodo.
Nell’800 le bambine cominciano ad indossare abitini più corti, seppur mai oltre il ginocchio, riprendendo la linea di quelli indossati dalle madri, lasciando il corpo alle sue linee naturali.
Anche le bambine però indossavano il busto, con la funzione di fornire un sostegno per assumere una corretta postura, più morbido e meno costrittivo di quello indossato dalle madri.
I maschietti indossavano calzoni corti al ginocchio, con morbide casacche. Fino ai 4-7 anni, l’età variava a seconda delle abitudini locali e famigliari, venivano vestiti con abiti femminili, praticamente identici a quelli delle sorelline, probabilmente perchè veniva facilitato il cambio del piccolo. Tra bambino e bambine cambiavano la scelta dei colori e dei tessuti.
Diversi erano invece i tagli di cappelli e gli accessori. Il tipo di abbigliamento in voga per entrambi i sessi, a fine ‘800-inizio ‘900, è l’abito alla marinara. Confezionato con materiali comodi e resistenti, facilmente lavabili. Dagli adulti, l’abbigliamento alla marinara si rivelò altrettanto comodo per potersi muovere, come completi da ginnastica o bicicletta.
Comincia poi la diffusione dei grandi magazzini destinati agli acquisti delle classi medie e nascono laboratori sartoriali, accompagnando il progresso che ha contraddistinto l’epoca.
La moda maschile nel periodo della Belle Epoque non subì grandi variazioni rispetto alla moda femminile. Il rinnovamento riguarda solo i “tagli” e qualche particolare. Si limitava a copiare gli stili e la moda da Londra. Per eccellenza di eleganza Edoardo VII Principe di Galles e Re d’Inghilterra era l’unico riferimento maschile di inizio secolo. Disinvolto ed elegante, portava la giacca aperta con l’ultimo bottone del gilet slacciato e i pantaloni con il risvolto.
Il tono maschile dell’abbigliamento era molto formale. Si affermò come emblema il completo composto di tre pezzi: giacca, gilet, pantaloni.
Lo smoking fu introdotto per la prima volta da Lord Sutherland dopo il 1875, era ed è tutt’ora un abito maschile per la sera. In Italia, in Francia ed in Germania, lo chiamiamo “smoking”, termine inglese che significa “abito da fumo”, mentre in Inghilterra è chiamato “dinner jacket”, ovvero “giacca da pranzo”.
All’epoca la giacca dello smoking poteva essere sia ad un petto che a doppio petto. Solitamente si preferiva nera, altrimenti poteva assumere anche tonalità blu scuro o violetto scuro. Nei paesi caldi invece era bianca.
Le scarpe erano soprattutto a stivaletto, sia con tacco che basse, allacciate con lacci o bottoni e ricoperte dalle ghette, bianche o nere. Tra gli accessori i più usati erano il cappello, i guanti e il bastone da passeggio. L’unica nota di colore era la cravatta, che smorzava e rendeva gradevole e gentile il sobrio rigore dell’abbigliamento maschile.
Si usava fermare con una spilla il nodo e/o un piccolo gioiello che donava una nota di eleganza, abbinato in particolare al bottone del collo della camicia e ai gemelli dei polsini.
Il cappello di giorno era in feltro, nei primissimi anni del ‘900 invece presentava una piccola tesa. Dopo i primi del ‘900 man mano la tesa si allargò e la calotta assunse una piegatura davanti. Per le occasioni importanti e le serate eleganti, l’unico protagonista era il cappello a cilindro. Un cappello dalla forma alta, nero o grigio scuro.
Dopo il 1904 fece l’ingresso il “paletots” per l’inverno e poi per la primavera gli intramontabili soprabiti maschili con chiusura a doppio petto e lunghezza fino al ginocchio.
Come abbiamo accennato nei video Il Cappello nella Bella Epoque e Introduzione alla Belle Epoque: A Noi Donne ecco cinque cappelli tipici di fine 800 ed inizio 900:
1. Cappello a veletta, simbolo di mistero e fascino raffinato.
2. Cappello con piume multicolore e decorazioni floreali.
3. Cappello da passeggio, inizi del 900.
4. Cappello da sera con gioielli.
5. Cappello del 1910.
Cappello e abito con colletto alto di inizio ‘900.